Departures vince al Far East Film

Far East Film, vince il Premio Oscar, “Departures” di Takita Yojiro.

 UDINE, 3 Maggio 2009 – Con una valanga di voti e realizzando una media complessiva davvero alta (4.57 su un massimo di 5). Departures di Takita Yojiro è stato incoronato migliore film dal pubblico della 11/a edizione del Far East Film Festival, conclusosi ieri sera a Udine. Il re degli Audience Awards 2009, dunque, già vincitore dell’Oscar come migliore film straniero, batte bandiera giapponese, mentre battono – rispettivamente – bandiera sudcoreana e bandiera indonesiana il secondo e il terzo classificato: l’irresistibile comedy Scandal Makers di Kang Hyeong-chul e il poetico melodramma The Rainbow Troops di Riri Riza. Anche la speciale giuria degli accreditati Black Dragon ha eletto numero uno l’inno alla vita di Departures, mentre i lettori di Mymovies.it, votando direttamente online, hanno preferito il road movie giapponese One Million Yen Girl della giovane regista Tanada Yuki. (Ansa).

Apertura del discorso di Obama


“Abbiamo fatto tanta strada
questa vittoria appartiene a voi”

Ecco l’apertura del discorso con cui Barack Obama ha celebrato la vittoria a Chicago 

Obama: Ciao, Chicago.

Se c’è qualcuno lì fuori che ancora dubita che l’America sia un posto dove tutto è possibile; che ancora si chiede se il sogno dei nostri padri fondatori è vivo ai nostri tempi; che ancora mette il dubbio il potere della nostra democrazia: questa notte è la vostra risposta.

E’ la risposta delle code che si allungavano intorno alle scuole e alle chiese in numeri che questa nazione non aveva mai visto, della gente che ha aspettato tre e quattro ore, molti per la prima volta nella vita, perché credevano che questa volta dovesse essere diverso, che le loro voci potessero fare la differenza. E’ la risposta che viene dai giovani e dai vecchi, dai ricchi e dai poveri, democratici e repubblicani, neri, bianchi, ispanici, asiatici, indigeni americani, gay, eterosessuali, disabili e no. 

Gli americani hanno mandato un messaggio al mondo: non siamo mai stati solo una lista di individui o una lista di stati rossi e stati blu. Siamo, e sempre saremo, gli Stati Uniti d’America.

 

Control di Anton Corbijn


Ian Curtis si impiccò a soli 23 anni, segnato da una vita costantemente accompagnata dall’epilessia e da una (con)seguente depressione. La sua morte, drammaticamente prematura, lo fece diventare un vero e proprio mito per i numerosissimi fan della band di cui era stato fondatore, paroliere e cantante: i Joy Division. Il rischio che un biopic su Curtis potesse trasformarsi quindi in un’opera agiografica e celebrativa c’era e non era da sottovalutare: ma al suo esordio nel cinema Anton Corbijn, fotografo delle rockstar e regista di numerosi, celebri videoclip, è stato in grado di dribblarlo con eleganza e intelligenza.

Dotato di un’eleganza formale che deriva dall’attività di fotografo di Corbijn più che da quella di videomaker, Control è un film secco e asciutto, che mette al centro della sua narrazione non una star della musica, decadente e “maledetta”, ma un ragazzo fragile e sensibilissimo, incapace di comunicare con il mondo come avrebbe voluto ma bisognosissimo d’amore nel senso più ampio del termine. La musica e la storia dei Joy Division, pur presenti, sono poco più di una cornice all’interno della quale viene ritratto un dramma tutto personale e inespresso, che si rispecchia formalmente in una serie di scelte che fanno sembrare quello di Corbijn un film ovattato, quasi trattenuto, ma che trasmettono invece alla perfezione il senso di distacco provato dal giovane Ian (un bravissimo Sam Riley, che canta anche le canzoni dei Joy Division) nei confronti del mondo e delle sue emozioni.

E non è un caso quindi che Control si “scaldi” con l’entrata in scena di Annik Honorée (Alexandra Maria Lara), la giornalista belga di cui Curtis s’innamorò ed iniziò una relazione che mise a durissima prova il suo rapporto con la moglie Deborah. Ma anche in questo ritratto Corbijn si dimostra sensibile e capace, evitando luoghi comuni e facilonerie e soprattutto non giudicando. Descrivendo quasi con affetto lo straordinario bisogno d’amore del suo protagonista: un bisogno intenso e bidirezionale, mai ipocrita o opportunista. Curtis, nella sua incapacità di gestire e amministrare sentimenti ed emotività, amava allo stesso modo la moglie e l’amante; e non riuscendo a gestire razionalmente questo dualismo, cederà a quell’ultimo, dissennato gesto. Love will Tear Us Apart

di Federico Gironi  Coming Soon.it

Miracolo a Sant’Anna

Spike Lee

“Miracolo a Sant’Anna” accolto dalle polemiche

 

Spike Lee nel suo ultimo film Miracolo a Sant’Anna (nelle sale il 3

ottobre) racconta l’Italia del 1944, tra l’avanzata delle truppe alleate, la

Resistenza italiana e le violente offensive dei tedeschi. Nel film prende di

mira anche i partigiani, che protesteranno apertamente domani alla prima

del film a Viareggio: “Non sento di dovermi scusare con nessuno. Ci sono

tante questioni ancora aperte in Italia a proposito della seconda guerra

mondiale, è chiaro che anche quello della lotta partigiana è un capitolo

non risolto. Poi bisogna sottolineare che i partigiani non erano amati da

tutti gli italiani: facevano quello che dovevano fare e poi si nascondevano

sulle montagne, lasciando i civili a subire le reazioni dell’esercito tedesco”.

 

Breve cronaca di un eccidio

I primi di agosto 1944, Sant’Anna di Stazzema era stata qualificata dal comando

tedesco “zona bianca”, ossia una località adatta ad accogliere sfollati: per questo la

popolazione in quell’estate aveva superato le mille unità. Inoltre, sempre in quei

giorni, i partigiani avevano abbandonato la zona senza aver svolto operazioni

militari di particolare entità contro i tedeschi. Nonostante ciò, all’alba del 12 agosto

’44, tre reparti di SS salirono a Sant’Anna, mentre un quarto chiudeva ogni via di

fuga a valle, sopra il paese di Valdicastello. Alle sette il paese era circondato.

Quando le SS giunsero a Sant’Anna, accompagnati da fascisti collaborazionisti che

fecero da guide, gli uomini del paese si rifugiarono nei boschi per non essere

deportati, mentre donne vecchi e bambini, sicuri che nulla sarebbe capitato loro, in

quanto civili inermi, restarono nelle loro case.

In poco più di tre ore vennero massacrati 560 innocenti, in gran parte bambini,

donne e anziani. I nazisti li rastrellarono, li chiusero nelle stalle o nelle cucine delle

case, li uccisero con colpi di mitra e bombe a mano, compiendo atti di efferata

barbarie. Infine il fuoco, a distruggere e cancellare tutto. Non fu rappresaglia, non fu

vendetta. Come è emerso dalle indagini della Procura Militare della Spezia, si trattò

di un atto terroristico, di una azione premeditata e curata in ogni minimo dettaglio.

L’obiettivo era quello di distruggere il paese e sterminare la popolazione per

rompere ogni collegamento fra le popolazioni civili e le formazioni partigiane

presenti nella zona.

La ricostruzione degli avvenimenti, l’attribuzione delle responsabilità e le

motivazioni che hanno originato l’Eccidio sono state possibili grazie al processo

svoltosi al Tribunale militare della Spezia e conclusosi nel 2005 con la condanna

all’ergastolo per dieci ex SS colpevoli del massacro; sentenza confermata in

Appello nel 2006 e ratificata in Cassazione nel 2007. Nella prima fase processuale

si è svolto, grazie al Pm Marco de Paolis, un imponente lavoro investigativo, cui

sono seguite le testimonianze in aula di superstiti, di periti storici e persino di due

SS appartenute al battaglione che massacrò centinaia di persone a Sant’Anna.

Fondamentale, nel 1994, anche la scoperta avvenuta a Roma, negli scantinati di

Palazzo Cesi, di un armadio chiuso e girato con le ante verso il muro, ribattezzato

poi “Armadio della vergogna”, poiché nascondeva da oltre 40 anni documenti che

sarebbero risultati fondamentali ai fini di una ricerca della verità storica e giudiziaria

sulle stragi nazifasciste in Italia nel secondo dopoguerra.

Il 19 agosto, varcate le Apuane, le SS si spingevano in comune di Fivizzano

(Massa Carrara), seminando la morte fra le popolazioni inermi dei villaggi di Valla,

Bardine e Vinca, nella zona di San Terenzo. Nel giro di cinque giorni uccidevano

oltre 340 persone mitragliate, impiccate, addirittura bruciate con i lanciafiamme.

Nella prima metà di settembre, con lo sconfino del massacro di 33 civili a Pioppetti

di Montemagno, in comune di Camaiore (Lucca), i reparti delle SS portavano avanti

la loro opera nella provincia di Massa Carrara. Sul fiume Frigido venivano fucilati

108 detenuti del campo di concentramento di Mezzano (Lucca), e per finire a

Bergiola e a Forno i nazisti facevano circa 200 vittime. Avrebbero continuato la

strage con il massacro di Marzabotto.

 

da Wikipedia 

Sulla videoarte

Videoarte” Questo nome è nato negli Stati Uniti negli anni ’60 per indicare,da un lato l’uso da
parte degli artisti delle tecnologie video e allora in questo caso si preferisce usare il termine 
“videoartista”, dall’altro l’uso artistico delle immagini elettroniche e,  per quell’epoca, artistico,
significava prima di tutto antitelevisivo, fuori cioè per sua natura da qualsiasi circuito distributivo che concernesse in una qualsiasi maniera la televisione” (Alessandro Amaducci)

 “La videoarte” è “semplicemente” una forma d’arte. Decifra segmenti del mondo, aspetti del
vivere, in modo diverso da quello della comunicazione. Ci offre uno sguardo particolare delle cose avvalendosi della tecnologia video, o se preferiamo del linguaggio video. (Sandra Lischi)

L’articolo del mese

I nuovi linguaggi sono la torta non la ciliegina
Repubblica — 04 settembre 2007 pagina 44 sezione: SPETTACOLI

VENEZIA – Se le novità sono quelle difficili da descrivere allora Wes Anderson è un innovatore. Il regista di The Darjeeling Limited, lo stesso di I Tenenbaum. Non si sa mai in diretta, eppure bisogna azzardare e rischiare di prendere cantonate. Magari, sotto una spolverata nuovista, questo texano è una bufala. Come dovettero sentirsi coloro che videro i film di Stroheim, Dziga Vertov, Lang? Di Murnau, di Vigo, di Welles, quando erano degli sconosciuti? Come reagì chi si trovò davanti Europa 51, L’ avventura, 8 1/2? Rashomon e Il settimo sigillo? Ma anche i Fratelli Marx e Sordi, che all’ inizio non faceva ridere nessuno. Probabilmente restò disorientato e sconcertato, talvolta irritato. Come è successo con Scorsese, Fassbinder, Lynch, Tim Burton, Almodovar. Qualcuno poi è diventato blockbuster, qualcun altro ha continuato a stare sulle scatole (e a innovare). Domenica Eugenio Scalfari, che non fa parte della cupa setta dei critici, ci ha impartito una lezione. Non è il contenuto a qualificare la novità di un film, di un’ opera, ma la sua forma. Il modo espressivo, lo stile, il linguaggio. «Di che parla» Umberto D.? Di un pensionato che la solitudine e la miseria spingono sull’ orlo del suicidio. Ma il punto è che ne parla in una maniera fino a quel momento inconcepibile. Che ha creato uno spartiacque tra il prima e il dopo. Non è una ciliegina sulla torta, è la torta: è da lì che è venuta la sua efficacia. Dovremmo saperlo e non solo dal cinema. Senza andare tanto indietro e per stare a una memoria che dovrebbe essere alla portata di tutti, dovremmo saperlo da Volare di Modugno a Cent’ anni di solitudine. Ma la memoria è quello che è, e lo dimentichiamo in continuazione. Facciamo un nodo ai fazzoletti. olizia militare, che in Vietnam è stato un duro, non vede chiaro nella scomparsa dell’ eroico figlio rientrato dall’ Iraq. Ha ragione, sotto la retorica del «portiamo la democrazia» c’ è un verminaio. Ma non gli fa piacere sapere che niente è come sembra e si dice, che un mondo di certezze va in pezzi. Che è arrivato il momento di fare l’ alzabandiera con le stelle all’ ingiù, segnale convenzionale di allarme estremo, di richiesta di soccorso. Paul Haggis firma il più papabile Leone d’ oro. Tommy Lee Jones solenne come Clint. – PAOLO D’ AGOSTINI